Quando un albero diventa bene culturale

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di Fiorenzo Pandini

 

Riconosciuto per la prima volta in Italia ad una quercia toscana, in Comune di Pienza, il titolo di “Bene culturale” ai sensi art. 10 del Codice Urbani. Nasce ora una domanda: il MiBACT sa che differenza c’è tra un manufatto storico realizzato dall’uomo e un soggetto biologico vivente?

La Quercia delle Checche, situata nel Comune di Pienza (SI) all’interno della splendida cornice della Val d’Orcia, è il primo albero italiano insignito dallo Stato del titolo di Bene culturale, come disposto dall’art. 2.2 della parte prima del Codice Urbani, ai sensi dell’art. 10.

In Europa il provvedimento di tutela delle Quercia delle Checche risulta il primo e unico caso di riconoscimento dei “diritti” di un albero inteso come bene culturale di natura ambientale.

Il riconoscimento di un autonomo diritto di tutela in capo ad un albero costituisce perciò una novità assoluta nell’ordinamento giuridico italiano: siamo però sicuri che questo non crei  una sovrapposizione inutile con la tutela degli alberi monumentali, già protetti dal Codice e censiti nei registri regionali e comunali?

Nell’ordinarietà dei vincoli che proteggono gli alberi del nostro paese il massimo della tutela era rappresentato, fino al febbraio del 2017, dalle disposizioni dell’art. 136 del Codice Urbani che riconosceva agli alberi monumentali (art. 136 - lett. a), agli alberi dei giardini di particolare bellezza (lett. b) stesso articolo) e agli alberi delle zone di notevole interesse pubblico (lett. c) e d) stesso articolo) un vincolo che li sottometteva alla procedura paesaggistica in caso di eventuale taglio.

Con l’entrata in vigore del d.p.r. 31/2017 (regolamento di semplificazione paesaggistica) il taglio con sostituzione degli alberi è rimasto sottoposto ad autorizzazione paesaggistica solo per i casi compresi nelle lettere a) e b) dell’art. 136 del Codice liberalizzando, di fatto, il taglio degli alberi posti in aree di notevole interesse pubblico previa sostituzione con un altro albero “adulto” di specie autoctona o tipica del territorio.

Il fregio riconosciuto dal Codice dei Beni culturali alla quercia delle Checche va perciò oltre la semplice tutela paesaggistica e trasmette a questa esemplare di Quercus robur , caso unico in Italia per un soggetto vivente, la stessa attenzione dedicata ai manufatti realizzati dell’uomo e riconosciuti Beni culturali, come ad esempio chiese, palazzi, statue o castelli, quadri o collezioni archeologiche.

Il provvedimento di tutela è infatti contenuto in uno specifico decreto del Segretariato regionale per la Toscana del MiBACT e l’oggetto della tutela viene perciò fatto rientrare nella categoria delle “cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”, previste dall’art. 10, comma 3, lettera a) del Codice Urbani.

Il riconoscimento si deve principalmente all’azione del sottosegretario ai Beni culturali, con delega al Paesaggio, Ilaria Borletti Buitoni; fu lei, nel maggio del 2016, a effettuare il sopralluogo preliminare in Val d’Orcia che avviò il procedimento di tutela poi emanato dal MiBACT.

Azione meritevole di plauso quella del MiBACT? A nostro avviso assolutamente no, per due motivi di non poco conto che proviamo a focalizzare:

1. l’art. 10 del Codice tutela i manufatti realizzati dall’uomo, ossia quelle opere materiali che presentano “interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico”. Come si possa ricondurre un individuo vivente, pianta o animale che sia, a un oggetto antico è difficile capirlo e certamente va a snaturare il significato biologico dell’albero stesso che viene equiparato ad un oggetto creato dall’uomo!

2. l’art. 136 del Codice, in lettera a), pone sotto tutela specifica gli alberi monumentali censiti e catalogati secondo criteri agronomici e biologici appositamente valutati. Il vincolo che ne deriva è stato perciò predisposto e plasmato su un soggetto vivente vegetale che non viene mai confuso con una statua rinascimentale, un affresco medievale o un rudere romanico. La quercia di Norcia, ora che è riconosciuta come bene culturale, ha meriti o pregi superiori a quelli degli altri 1.000 alberi monumentali d’Italia?

In altre parole: questa quercia può ora godere di maggiori cure e attenzioni di quelle garantite agli alberi monumentali d’Italia, addirittura in molti casi più rari, più maestosi, più vecchi o più significativi nel paesaggio? Risposta: certamente no, come dimostrano i recenti cedimenti della chioma che, per cause fisiologiche, morfologiche e parassitare si è sbrancata per la 3^ volta in 4 anni!

I propugnatori del riconoscimento ministeriale esaltano però una serie di diritti che sono ora acquisiti dall’albero: primo tra tutti il fatto che la quercia non potrà più essere gratuitamente disturbata senza un adeguato controllo da parte della Soprintendenza territorialmente competente.

Traduzione: la quercia non potrà essere danneggiata da scavi, potature, vandalismi e da ogni idea malsana dell’uomo moderno. Peccato però che ciò non porti nulla di più o nulla di meno di quanto già previsto dall’art. 136 del Codice per tutti gli alberi monumentali e per tutti gli alberi comuni di parchi e giardini che si distinguono per la loro non comune bellezza.

Tornando alla vecchia quercia conviene piuttosto sperare che ora non si cada nel rischio che l’albero venga solo coccolato emotivamente, più che monitorato, lasciando aperta la strada alle fitopatie, alle fisiopatie e agli stessi eventi climatici più o meno imprevedibili, con il risultato di portare alla mummificazione dell’albero piuttosto che alla sua corretta coltivazione. La vera sfida all’orizzonte diventa perciò quella di costruire un efficace sistema di monitoraggio fitosanitario e agronomico coinvolgendo, più che il folcklore locale, qualche team di professionisti realmente competenti in patologia vegetale e in arboricoltura.

 

Di Fiorenzo Pandini
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