Gli ultimi cipressi millenari del Sahara stanno morendo. Il progetto “Tarout”

Sembrano eroi dispersi nel deserto

Vivono sull’altopiano del Tassili n’Ajjer (tra i 1400 e 1800 di altitudine) nella parte di deserto sahariano algerino e sono gli ultimi esemplari rimasti al mondo di Cupressus dupreziana.
Alcune frammentarie notizie risalgono a Plinio il Vecchio che nel I secolo d.C. ne cita la loro presenza.

L’esploratore e geografo francese Henry Duveyrier, tra il 1859 e il 1863, riferisce l’esistenza di numerosi alberi viventi in questa zona identificandoli erroneamente come tuie e la consuetudine degli abitanti del luogo di ardere la loro legna.

Il loro nome è in onore del capitano Duprez, che comandava il distaccamento militare francese di Djanet che, nel 1924, ne descrive la presenza su questi altopiani.

Con i loro rami contorti, i tronchi che in qualche caso superano i quattro metri di diametro, le chiome ampie che si spingono fino a venti metri d’altezza, sono gli unici alberi monumentali presenti nel deserto del Sahara.
Sono una autentica rarità. Si tratta infatti degli ultimi esemplari di cipresso di Duprez (Cupressus dupreziana), piante endemiche (esistono solo qui) fuori dal comune non solo per la capacità di sopravvivere in luoghi dal clima estremo, ma anche per la straordinaria longevità: i più vecchi hanno 4.000 anni.

Siamo in Algeria, nella zona sudoccidentale del Tassili n’Ajjer (nella lingua Tuareg tamacheck, n’Ajjer significa terra dei fiumi ), esteso e affascinante altopiano che interrompe le sabbie sahariane con un paesaggio aspro e inospitale, fatto di rocce scure a forma di torri e pinnacoli.

Nella lingua locale sono chiamati Tarout (termine con il quale era conosciuto un profumo molto intenso e amaro, preparato dai Tuareg unendo la resina di questa conifera ad altre specie vegetali).
Il primo italiano a innamorarsi di questi alberi e a dedicare loro un bellissimo libro è stato Mario, esperto botanico appassionato da oltre trent’anni della diagnosi e della cura delle malattie dei grandi alberi.
Mario è stato in questa località più volte a partire dal 2006. Nel 2007 si è unito anche Gianni e, quest’anno, anche Marco li ha seguiti durante l’ennesimo loro viaggio.

Esperti professionisti e ricercatori, appassionati di questo unicum botanico, stanno cercando di salvare questi alberi.
Gianni Della Rocca, del CNR di Sesto Fiorentino (principale ente pubblico di ricerca italiano di ricerca scientifica e tecnologica nei principali settori di sviluppo del nostro Paese che si occupa di tematiche quali BIODIV-biodiversità degli ecosistemi agro-forestali per la tutela delle risorse genetiche di pregio con particolare riferimento agli stress abiotici e biotici legati ai cambiamenti climatici avente finalità di conservazione del germoplasma delle specie di cipresso nel mondo) si è fatto capofila dello sviluppo del progetto Tarout illustrato meglio a seguito.
Nonostante protetti per legge (il Tassili n’Ajjer è stato dichiarato Parco nazionale nel 1972, Patrimonio culturale dell’Umanità dall’Unesco nel 1982 e Riserva della Biosfera nel 1986), questi cipressi sono spesso maltrattati dall’uomo che vive in queste zone e che, oltre a quanto già menzionato sopra in merito alla legna da ardere, ne ricavava selle di dromedario, impugnature di armi, attrezzi da cucina, porte, ecc.
Nella medicina popolare locale, si usava masticare pezzetti di corteccia come disinfettante delle lesioni gengivali e per lenire i bruciori di stomaco. La resina veniva bruciata sul fuoco così da ottenerne un’azione balsamica e di profumazione.
Quando nel 2001 la professoressa Fatiha Abdoun dell’Università di Algeri realizzò l’ultimo inventario completo, gli esemplari vivi erano 233.

Si tratta di alberi monumentali, veri patriarchi millenari, testimoni del tempo che fu quando anche nel Sahara centrale c’erano fiumi e laghi, retaggio di una flora mediterranea oggi distante da qui almeno 2.000 km.
Questi cipressi posseggono un valore biologico, botanico, evoluzionistico ma anche storico-culturale inestimabile e insostituibile.
I cipressi di Duprez sono piante “relitte”. Si è, cioè, scoperto che gli esemplari rimasti sono gli ultimi discendenti di una popolazione molto più numerosa, risalente a 12 mila anni fa. A quell’epoca il paesaggio sahariano era molto diverso: una maggiore umidità e la presenza di fiumi permanenti avevano favorito l’insediarsi di una fauna e di una flora ben più ricche di quelle attuali.
Fu una “fase verde”, nella quale di questi cipressi, con ogni probabilità, esistevano intere foreste. Tra i 6.500 e i 3.500 anni fa le cose cambiarono: le temperature iniziarono ad alzarsi, diminuirono le precipitazioni, aumentarono i venti e la copertura vegetale cominciò a diradarsi fino ad arrivare allo stato attuale, di quasi totale desertificazione (ricerche sui paleosuoli sahariani hanno evidenziato la presenza di queste piante fino a sud della Tunisia e nelle zone montuose del nord del Niger).
Questi cipressi sono testimoni silenziosi di questa trasformazione. E sono riusciti a sopravvivere.
Distribuiti in un’area di 900 chilometri quadrati, a un’altitudine compresa tra i 1.400 e i 1.800 metri, crescono lungo il letto sabbioso di quelli che un tempo erano fiumi (Oued), oppure vicino a pozze d’acqua temporanee o permanenti.
Data l’estrema aridità dell’ambiente (le precipitazioni sull’altopiano sono mediamente di 20-30 millimetri all’anno, l’ultima volta che ha piovuto è stato nel 2019), le radici sono penetrate con tenacia alla ricerca disperata dell’acqua, anche fino a due-tre metri di profondità (scompaiono e ricompaiono di continuo, tanto da poter essere individuate anche a 25 metri di distanza).
Altre caratteristiche che hanno favorito la sopravvivenza dei Tarout sono la capacità di andare in quiescenza nei periodi climatici sfavorevoli (di interrompere la crescita, per molti anni, pur continuando a vivere) e la presenza di batteri nel terreno in grado di trasformare l’azoto presente nell’aria in sostanza organica da mettere a disposizione degli alberi.
Da esami dendrocronologici eseguiti su campioni di legno prelevati dai fusti, negli ultimi 30 anni si sono notate crescite radiali nettamente disomogenee: gli esemplari che avevano disponibilità di acqua presentavano anelli di accrescimento di 70 mm, mentre altri, nello stesso periodo, che non avevano tale “possibilità”, hanno avuto una crescita di soli 2-8 mm. Da questo dato si capisce chiaramente, seppur su esemplari ormai acclimatatisi all’ambiente, l’acqua sia un fattore importantissimo di sopravvivenza.
La specie è a rischio estremo di estinzione (https://www.iucnredlist.org/species/30325/2792650) per cause sia ambientali (cambiamento climatico), che genetiche (apomissia paterna-adattamento alla lontananza tra individui superstiti), ma anche antropiche (come già detto sopra: sfruttamento del legname e scarsa coscienza).
Ciò che abbiamo potuto osservare a inizio 2023 (dice Marco Pandini) è un’allarmante accelerazione del declino di questi patriarchi verdi. In particolare, nel popolamento di Tamrit, costituito da 19 esemplari monumentali fino al 2007, ben 3 (il 16%) sono morti di recente (presumibilmente tra metà 2022 e inizio 2023) a causa di un inasprimento dell’aridità.

Il progetto Tarout si propone di:

  • Incrementare la consapevolezza dell’importanza della specie.
  • Coinvolgere l’UNESCO e le Autorità nazionali algerine per lanciare il grido d’allarme sul rischio estremo di estinzione della specie.
  • Informare la IUCN (International Union for the Conservation of Nature) per aggiornare la Red List al riguardo e correggere alcune imprecisioni riscontrate.
  • Avviare attività di educazione locali e nazionali dell’inestimabile valore di questi alberi assolutamente da preservare.
  • Organizzare viaggi-missioni scientifiche per il monitoraggio di tutti i cipressi così da avere un quadro aggiornato dell’intera popolazione arborea esistente (distribuita su circa 700 km2).
  • Coordinare un gruppo multidisciplinare di specialisti (geologi, climatologi, pedologi, patologi, entomologi, topografi, botanici, arboricoltori).
  • Prelievo rispettoso di materiale vegetale per studi approfonditi di dendrocronologia, anatomia comparata, biochimica, genomica, ecofisiologia e microbiologia.
  • Installazione di stazioni meteo per la raccolta di dati climatici e studio sul microclima dell’altopiano del Tassili.
  • Prelievo di semi per prove di germinazione anche extra Algeria.
  • Pianificazione di sistemi di tutela in situ di almeno alcuni nuclei della specie con irrigazioni di soccorso straordinarie.
  • Analisi e studio delle possibili concause del deperimento degli individui millenari e possibile migrazione assistita della specie in zone più adatte anche mediante conservazione ex situ attraverso il mantenimento del germoplasma originale delle piante originarie (innesto su cipresso comune di marze e realizzazione di impianti clonali di conservazione).
  • Studiare la possibilità di reintroduzione di alcune plantule cresciute in vivaio.
  • Protezione fisica con installazione di aree di rispetto e/o recinzioni attorno alle piante più interessate dal turismo (Tamrit e Djabbaren).
  • Tutela legale, mediante implementazione di misure di preservazione di tipo legislativo sia locale che nazionale e internazionale.

Per questo ci rivolgiamo a chiunque abbia a cuore questo problema e possa dare una mano nell’immediato con un contributo al progetto così da poter salvare questi superstiti botanici.

Per contatti: Marco Pandini, mpandini@studiopandini.it - Tel. 392 0466276

Nelle immagini sopra, dall’alto al basso in senso orario: alcuni esemplari millenari; due immagini a confronto degli stessi esemplari (disetanei): nel 2007 e nel 2023 (ormai morti).

Gli Autori:

Marco Pandini. Direttore di Studio Pandini srl, società che si occupa da 30 anni della gestione del verde in ambito pubblico e privato.

Mario Chiapparini. Direttore di Arbotech srl, società che da oltre 30 anni si occupa della diagnosi e della cura delle malattie dei grandi alberi.

Gianni Della Rocca. Primo tecnologo di supporto alla ricerca presso l'IPSP-CNR (Sesto Fiorentino). Responsabile di vari progetti europei e nazionali nell'ambito della Patologia Vegetale, conservazione della Biodiversità e dell'Ecofisiologia Vegetale applicata. Autore di numerose pubblicazioni e articoli scientifici sia nazionali che internazionali.

Bibliografia e libri di riferimento:

  • Alla scoperta del Tassili. 1958. Henri Lhote. Edizioni Il Saggiatore, pp. 271.
  • Abdoun, F. and Beddiaf, M. 2002. Cupressus dupreziana A. Camus: répartition, dépérissement et régénération au Tassili n’Ajjer, Sahara central. Comptes Rendus Biologies, 325(5), pp.617-627.
  • Abdoun, F. 2002. État de conservation du cyprès de Duprez (Cupressus dupreziana) au Sahara central; une espèce en voie d’extinction?. Ecologia Mediterranea, 28(2), pp.103-103.
  • Abdoun, F., Jull, A.J.T., Guibal, F. and Thinon, M. 2005. Radial growth of the Sahara’s oldest trees: Cupressus dupreziana A. Camus. Trees, 19, pp.661-670.
  • Bagnoli F., Della Rocca, G., Spanu I., Fineschi S. and Vendramin, G.G. 2020. The origin of the Afro-Mediterranean cypresses: evidence from genetic analysis. Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics, 46, p.125564.
  • I Cipressi millenari del Sahara. 2006. Mario Chiapparini e Mauro Pezzotta. Tipolitografia Gardesana, pp. 44.
  • Sahara giardino sconosciuto. 1998. Pietro Lauretano. Edizioni Giunti, pp 287.

 

Settembre 2023, testo e foto di Mario Chiapparini, Gianni Della Rocca e Marco Pandini