Relazione annuale 2013 – Comitato per lo sviluppo del verde pubblico

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L’avvento della legge n. 10/2013 ha riaperto, in modo forte, la discussione nel nostro Paese a proposito dell’idea stessa di verde pubblico, nelle sue diverse possibili declinazioni.

 

1. Verde pubblico è, in primo luogo, ambiente e salute


La legge n. 10/2013 lo sottolinea già all'art. 1 comma 1, istituzionalizzando la “Giornata nazionale degli alberi”, al fine di attuare il protocollo di Kyoto che riconosce al patrimonio arboreo e arbustivo un ruolo essenziale nel “miglioramento della qualità dell'aria”. Del resto, circa i quattro quinti della popolazione europea vive ormai in zone urbanizzate, e la tendenza non accenna a diminuire. Per la maggior parte di queste persone, spesso l'unica possibilità di contatto con la natura è proprio il verde urbano. La presenza di verde costituisce, da questo punto di vista, una forma di espressione del modello di sviluppo sostenibile individuato e perseguito dalle politiche pubbliche, garantendo:

  • conservazione dell'habitat;
  • tutela della biodiversità;
  • tutela della resilienza, intesa come capacità dell'ecosistema di continuare a evolversi nello stesso modo, nonostante le interferenze di natura antropica.

In questo senso, è essenziale che, integrando l'ambiente urbano con elementi naturali, si creino “corridoi ecologici” e “spaccature verdi” nel costruito. Naturalmente, queste aree vegetate devono essere qualitativamente e quantitativamente adeguate, anche per sopportare il carico della popolazione.

Evidenze scientifiche ormai consolidate dimostrano che gli aggregati urbani con maggiore densità di verde assicurano condizioni migliori di vita sia riguardo al temperamento degli effetti dei cambiamenti climatici, sia riguardo alla capacità di assorbimento delle emissioni nocive per la salute umana. Ed è utile ricordare, in quest’ultima direzione, che il progresso tecnologico ha consentito lo sviluppo di particolari software che per ogni albero riescono di fatto a calcolare l’anidride carbonica assorbita e lo smog catturato (esemplificando, è stato stimato che una singola pianta di corbezzolo equivarrebbe a poco meno di un euro all’anno per i danni da smog evitati e poco più di 3 euro per l’energia risparmiata grazie al raffrescamento estivo, mentre il pompelmo corrisponderebbe a quasi 3 euro di danni da smog evitati e 2 euro di energia risparmiata). Il tema del verde urbano si inserisce dunque in tutta naturalezza, formandone parte necessaria e integrante, nelle politiche di abbattimento delle emissioni di gas serra - di cui l’ultima parte del quinto rapporto dell’Ipcc redatto dagli scienziati delle Nazioni Unite chiede una forte accelerazione e intensificazione -, attesa la capacità dei giardini storici, dei parchi urbani, delle aree verdi cittadine di assorbire una quantità stimata in 12 milioni di tonnellate annue di CO2, quasi il 3 per cento delle emissioni totali.

Gli effetti del verde urbano sulla vivibilità delle nostre città, e, quindi, il ruolo che può e deve avere la sua gestione nelle decisioni di politica sanitaria e salute pubblica, è intuitivo. Diversi studi realizzati negli ultimi anni hanno riconosciuto nell'inquinamento atmosferico un importante e modificabile fattore di rischio, ad esempio, cardiovascolare. In particolare, il peggioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane è stato posto in relazione oltre che con asma, angina, infarto e insufficienza cardiaca, nonché, in caso di esposizione prolungata alle polveri sottili, all'estensione dell'aterosclerosi nelle carotidi e nelle arterie coronarie (secondo questi studi, il rischio di comparsa di infarto del miocardio aumenterebbe di almeno tre volte dopo un'ora di esposizione al traffico).

Una congrua dotazione di superfici destinate a verde urbano (nel 2011, l’Istat ha stimato che in Italia ogni abitante disponeva in media di 30,3 mq di verde urbano, anche se con sensibili differenze fra Centro, Nord-ovest, Nord-est e Mezzogiorno), rappresenta dunque un potente antidoto all’incidenza sulla salute umana delle cosiddette "polveri sottili", prodotte nella combustione dei motori a scoppio, dagli impianti di riscaldamento e nelle attività industriali, che sono come noto particelle microscopiche in sospensione nell'atmosfera, identificate dalla sigla PM (particulate matter) e da un numero indicativo del loro diametro (tanto più piccole sono, infatti, tanto più facilmente queste particelle attraversano l'apparato respiratorio).

 

2. Verde pubblico è, anche, identità culturale


Da questo punto di vista, la legge n. 10/2013 ha avuto il merito e il pregio di rilanciare anche nel nostro Paese il tema, ampio e complesso, degli alberi monumentali. Tra gli alberi presenti nelle aree boscate e quelle occupate dal verde ornamentale, ve ne sono infatti alcuni che, sfidando le avversità di natura biotica e abiotica, sfuggendo all’interesse produttivistico da parte dell’uomo, con il passare dei secoli hanno raggiunto dimensioni e forme imponenti: testimoni, da una parte, del lungo e faticoso lavoro della natura e, dall’altra, del perdurante legame che ancora li unisce all’uomo. Questi “patriarchi verdi” sono asset dall’elevato valore estetico, culturale, naturalistico, e sono espressione della storia e delle tradizioni, anche religiose, delle popolazioni che nei secoli si sono succedute in determinati luoghi. Accanto ad essi, nell’ambito della diversificata categoria legale degli alberi monumentali, ve ne sono poi altri, che, né di particolare pregio naturalistico, né secolari, hanno tuttavia assunto nei fatti una fortissima valenza simbolica, che talora va ben al di là dei confini nazionali (caso tipico è quello dell’albero che ha preso il nome da Giovanni Falcone, a Palermo).

Fra gli alberi monumentali, quelli secolari accompagnano da sempre la nostra stessa Storia di italiani, spesso dentro le antiche mura delle città. Come gli alberi degli artisti: a Roma, sul Gianicolo c’era la Quercia del Tasso, durata secoli, purtroppo lasciata seccare anni fa dopo che un fulmine l’aveva colpita, ma all’interno delle Terme di Diocleziano vive tuttora il Cipresso di Michelangelo.

Vi sono poi gli alberi-simbolo dell’Unità d’Italia, a partire dagli Alberi della Libertà alzati in tutte le città e cittadine italiane mano a mano che le truppe francesi, a partire dal 1796, portavano con sé le idee fondamentali di Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Alcuni sono ancora conservati dopo oltre duecento anni. A Orino di Valcuvia nel Varesotto un tiglio messo a dimora dai patrioti nella piazza centrale e poi spostato per sfregio dai restauratori asburgici presso il cimitero (dove però è vissuto e vive benissimo). A Montepaone di Catanzaro l’olmo piantato durante la Repubblica Partenopea del 1799 davanti alla casa del patriota, Gregorio Mattei, impiccato dai Borbonici col fratello Luigi: stava seccandosi e l’Università di Firenze ha provveduto pochi anni fa a clonarlo. Un altro olmo resiste bene a Putignano di Bari, venne piantato nel 1806 per il ritorno dei napoleonici.

Arriviamo al Risorgimento vero e proprio. A Roma va ricordato il querceto del Gianicolo dove si concentrò la lunga, cruenta difesa della Repubblica Romana del 1849, alla quale partecipò la meglio gioventù d’Italia, tanti ragazzi accorsi, da soli o coi genitori, soprattutto dall’Emilia-Romagna, dalla Lombardia, dalla Toscana, dall’Umbria, dalle Marche e dalla stessa Roma, in specie da Trastevere. Uomini e anche donne – dalla ventenne popolana romana Colomba Aglietti all’aristocratica lombarda Cristina Trivulzio sagace organizzatrice di infermerie e ospedali – sotto la guida di Garibaldi, Mazzini, Pisacane, Manara, Saffi. Col ventiduenne Goffredo Mameli, autore del Canto degli Italiani, oggi nostro inno nazionale, spento dalla cancrena di una grave ferita riportata a Porta San Pancrazio.

Un cipresso già all’epoca antico è stato in seguito dedicato a Giuseppe Garibaldi in località Casone di Dovadola, nell’alto Forlivese, perché sotto di esso si concluse la “trafila” romagnola che, sempre nel 1849, condusse sino all’Appennino il generale braccato dagli Austriaci dopo lo sfortunato tentativo di raggiungere per mare Venezia da Cesenatico. A Casone lo rilevò un sacerdote mazziniano, don Giovanni Verità, il quale poi se lo caricò sulle spalle per fargli guadare un torrente in piena, fino al Granducato di Toscana.

Un altro Patriarca, stavolta un frassino, o più probabilmente un pioppo bianco, rammenta nella campagna di Campoferro presso Voghera (all’epoca, Regno di Sardegna) l’atto di coraggio del dodicenne Giovanni Minoli, garzone in una vicina cascina, nel 1859: durante le cariche delle opposte cavallerie – franco-piemontese e austroungarica – nella vittoriosa, per noi, battaglia di Montebello da quell’albero fornisce indicazioni ai cavalleggeri sabaudi venendo ferito a morte da una fucilata degli Austriaci. E’ la Piccola Vedetta Lombarda di un libro “esemplare”: “Cuore” di Edmondo De Amicis. Quel frassino, o pioppo bianco, di recente è stato sottratto alle ruspe di un cantiere, che minacciavano di sradicarlo per sempre cancellando con esso una memoria storica altamente significativa.

Al 1859 risale pure il maestoso cedro del Libano piantato nella Villa Mirabello di Varese per la visita compiuta da Vittorio Emanuele II alla fine del guerra col fine di ringraziare la città dell’intensa partecipazione al Risorgimento. Tanti sono i Patriarchi dell’Unità d’Italia. Citerò ancora il Pino di Clelia Garibaldi, che il Generale piantò a Caprera per la figlia nata nel 1867, anno dello sfortunato tentativo garibaldino di liberare la Città Eterna. Altri alberi dell’epoca forse sopravvivono nel parco di Villa Glori, luogo dello scontro, in quel medesimo 1867, fra garibaldini, francesi e zuavi, dove caddero i fratelli Enrico e Giovanni Cairoli. Un riferimento romano al Terzo Risorgimento come Luigi Einaudi chiamò la Resistenza al nazifascismo – lo troviamo nel popolarissimo quartiere dell’Alberone. Qui sorgeva la storica quercia che aveva dato nome al quartiere, punto di raccolta dei pastori e delle greggi dirette a sud, lungo l’Appia. La sera del 26 luglio 1943 – raccontava l’europarlamentare socialista Alberto Di Segni – fu sotto l’Alberone che subito si riunirono gli antifascisti, i giovani soprattutto, della zona. La grande quercia secolare si seccò nel 1985 e il “Messaggero” donò al quartiere una sua “sorella” centenaria ben conservata in un vivaio ad Ancona e che, lì trapiantata davanti ad una folla incredibile, continua a simboleggiare l’Alberone. C’è tanta storia, umana e civile insomma, negli alberi antichi delle città e dei borghi d’Italia, che meriterebbero quell’accurato censimento nazionale previsto dalla legge n. 10/2013.

 

3. Verde pubblico è, anche, economia


Lo è per gli effetti – ormai scientificamente suffragati – sul risparmio energetico degli edifici che sfruttino (fruendo fra l’altro di incentivi) coperture a verde, il che si traduce in minore spesa per cittadini e imprese. Lo per le ricadute – esse pure confortate dalle verifiche di ordine scientifico - sulla salute delle comunità urbane, che si traducono in minore spesa pubblica (sanitaria e sociale). Lo è per la ingente spesa pubblica, da riqualificare e riorientare, assorbita dalla gestione del verde urbano comunale, nella quale sono impegnate categorie professionali, fornitori, maestranze. Lo è, ancora, perché concorre, e talora consente (sub specie di misure compensative o di mitigazione ambientale, destinate ad assumere forte rilievo nell’ambito dei provvedimenti di VIA), l’infrastrutturazione del Paese, che crea opportunità produttive e posti di lavoro. E le esemplificazioni potrebbero continuare a lungo.

Tutto questo, che è già dimostrato da evidenze scientifiche, sta diventando anche misurabile, attraverso particolari software, per offrire a decisori pubblici e operatori economici un ordine di grandezza non soltanto dei vantaggi economici ritraibili in genere dalle politiche di gestione del verde urbano, ma perfino un dato più elaborato, indicativo della misura del vantaggio (l’ombra che limita l’uso dell’aria condizionata, l’effetto estetico che alza il valore immobiliare, la protezione dal vento, etc.) ricollegabile alle singole specie arboree.

Occorre dunque guardarsi dalla tentazione di letture riduzionistiche, talora riaffioranti, secondo le quali il rapporto fra verde pubblico e sviluppo economico non si spingerebbe oltre la dimensione, pure evidentemente essenziale, dei comparti di settore (ad es., florovivaistico) e del turismo naturalistico (ivi incluso il Garden Tourism, segmento che in Europa movimenta milioni di persone e che potrebbe rappresentare un potente generatore di flussi economici, sul quale anche l’UE sta investendo attraverso CultTour, progetto cofinanziato dal FESR- Fondo Europeo di Sviluppo Regionale).

C’è in realtà molto altro, e proprio la consapevolezza di ciò stimola a lavorare, come farà anche il Comitato nel corso del 2014, per la messa a punto e l’implementazione di quei “sistemi di contabilità ambientale”, sui quali investe, in modo dichiarato, anche la legge n. 10/2013 (art. 6, ultimo comma). Essi possono essere lo strumento per favorire lo sviluppo di una nuova idea di società, ordinata secondo un modello integrato che non svaluti le palesi profonde interrelazioni fra politiche di settore diverse, governato da leggi non meramente economiche, pensate in modo da realizzare un miglior equilibrio fra persone fisiche e persone giuridiche (cioè fra individui, per un verso, e imprese e istituzioni, per altro verso).

Scarica la relazione del comitato verde pubblico anno 2013 premendo qui: Relazione Comitato Verde Pubblico 2013