Schiacciato da un albero nella propria auto – Eredi risarciti e Comune condannato
La Cassazione conferma un orientamento consolidato: la P.A. risponde dei danni causati dai beni pubblici in quanto custode degli stessi
6 marzo 2012
Di Antonio Benevento
I Giudici di Legittimità, con la sentenza della terza sezione civile,n.3253, del 2 marzo 2012, confermano ancora una volta un indirizzo severo nei confronti degli Enti Pubblici, per i danni causati da beni demaniali. Nel caso di specie viene confermata la condanna per il Comune di Ottaviano a risarcire gli eredi di un automobilista rimasto schiacciato nella sua auto dalla caduta di un grosso platano con evidenti parassitologie della struttura legnosa. Ciò che risalta è che gli Ermellini hanno ribadito come alla Pubblica Amministrazione si applica l'art. 2051 c.c. sulla responsabilità per danni causati da beni in custodia. Questo comporta che il danneggiato deve provare solo che quel dato bene ha causato quel dato danno, restando a carico del titolare dei doveri di custodia del bene (ndr: l’albero)la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno oppure che il danno sia dipeso da caso fortuito imprevedibile.
ALBERI CHE UCCIDONO, VICENDA NON NUOVA
Non è la prima volta che accade una storia del genere. Anche alla fine del 2011 c'era stata una vittima a Napoli per la caduta di un grosso albero su un'auto (in quel caso un grosso pino).E proprio in provincia di Napoli ha avuto luogo questo nuovo caso giunto ora al suo epilogo con la sentenza di Cassazione del 2012.Un automobilista sta percorrendo una via abitualmente trafficata: un grosso platano si sradica e schiaccia la sua auto, uccidendolo sul colpo. Di chi è la colpa? La Provincia di Napoli e il Comune di Ottaviano si palleggiano la responsabilità e in ogni caso cercano di tirarsene fuori come fanno sempre le amministrazioni pubbliche, ovvero sostenendo l'impossibilità di tenere in buono stato tutto il demanio amministrato. Gli eredi vincono la causa, sia nei due gradi di merito che in Cassazione. In primo grado però il tribunale giudica colpevole la Provincia, mentre la Corte d'Appello sposta la responsabilità sul Comune.
STRADA COMUNALE O STRADA PROVINCIALE?
Gran parte del procedimento è stato incentrato sulla questione relativa al fatto che la strada fosse in gestione alla Provincia o al Comune. Si trattava di un caso particolare: la strada è statale, ma attraversa il centro abitato di Ottaviano. I Giudici di Piazza Cavour confermano la Corte d'Appello di Napoli, che aveva giudicato la strada di proprietà del Comune di Ottaviano, sulla base della seguente considerazione: l'art.4 del regolamento di esecuzione del C.d.S. indica come comunali tutte le strade che passano all'interno del perimetro urbano, a meno che non si tratti di strade statali, regionali o provinciali che passano entro i confini di comuni aventi meno di diecimila abitanti. Il comune di Ottaviano non era stato in grado di contestare i dati forniti dalla Provincia di Napoli che indicavano un numero di abitanti superiore ai diecimila, dunque la strada viene giudicata comunale, prima in appello e ora in Cassazione.
CUSTODI DEGLI ALBERI: I DOVERI E LE RESPONSABILITÀ’
A conferma di un indirizzo giurisprudenziale sempre più consolidato, anche in questo caso gli Ermellini precisano che la responsabilità delle pubbliche amministrazioni per i danni provocati da beni pubblici sono responsabilità da custodia. Quindi, una volta stabilito che il proprietario della strada è il Comune di Ottaviano, sarà questo a dover risarcire gli eredi della vittima del tragico incidente. La mancanza di cura degli alberi si considera implicitamente provata, e sarà l'ente proprietario di questi a doversi giustificare. Ciò in base all'art. 2051 c.c. che introduce nell'ordinamento la c.d. inversione dell'onere della prova: non è il danneggiato che deve provare la colpa del proprietario del bene che ha causato il danno, ma è il proprietario che deve dimostrare di aver fatto tutto quello che era in suo potere per evitarlo, oppure che il danno si è verificato per caso fortuito. Per questo le pubbliche amministrazioni cercano sempre di ottenere sentenze che escludano la loro responsabilità per i danni causati dai beni demaniali, come strade o alberi, in forza dell'art. 2051 c.c.. Se i giudici applicano tale norma, il danneggiato è avvantaggiato nel vincere le cause, mentre se applicassero la norma generale della responsabilità per danni illeciti (art. 2043 c.c.), sarebbe il danneggiato a dover fornire le prove della mancanza di diligenza dei comuni, delle regioni o delle provincie, e ciò sarebbe meno agevole. Si tratta di una scelta, quella di applicare l'art. 2051 c.c. alle amministrazioni oppure no, che comporta notevoli conseguenze: o si salvano le amministrazioni dai problemi di manutenzione dei beni demaniali, oppure le si costringono a "mettere in sicurezza" ogni angolo di strada, ogni manufatto pubblico, ogni albero, per evitare di dover pagare salatissimi risarcimenti. Da un decennio a questa parte, la Suprema Corte ha preso le parti dei danneggiati, con conseguenti sonore condanne a carico degli Enti Pubblici.
di Antonio Benevento
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. -Sent. del 02.03.2012, n. 3253
Presidente Petti
Relatore Calrleo
Svolgimento del Processo
Con citazione notificata in data 27.1 e 10.2 2000 N. F. in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori C.G e C.N. conveniva in giudizio la Provincia di Napoli ed il Comune di Ottaviano esponendo che il 20. 11. 1996 in Ottaviano alla via (...) suo marito (A.C. mentre circolava a bordo di un’auto, di proprietà dell’istante, era stato investito da un grosso platano, marcio ed in via di decomposizione, ubicato sul marciapiede destro rispetto al senso di marcia della vettura diretta verso S. Gennaro Vesuviano, perdendo la vita a seguito del completo schiacciamento dell’ auto. Ciò premesso, chiedeva la condanna in via solidale o alternativa dell’Amministrazione provinciale e del Comune, quali proprietario della strada l’una ed addetto alla manutenzione il secondo, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. In esito al giudizio, in cui si costituivano i convenuti chiedendo entrambi il rigetto della domanda nei propri confronti e spiegando altresì il Comune di Ottaviano domanda riconvenzionale nei confronti della Provincia, il Tribunale di Nola adito dichiarava la Provincia di Napoli esclusiva responsabile del sinistro e per l’ effetto la condannava al pagamento, in favore degli attori, della somma complessiva di euro 1.070.000 oltre interessi rigettando la domanda nei confronti del Comune di Ottaviano. Avverso tale decisione proponevano appello principale la Provincia, incidentale gli originari attori. In esito al giudizio, in cui si costituiva il Comune di Ottaviano deducendo l’infondatezza degli appelli proposti, la Corte di Appello di Napoli con sentenza depositata in data 12 ottobre 2009 in riforma della sentenza impugnata dichiarava il Comune di Ottaviano responsabile del sinistro e lo condannava al pagamento in favore degli attori delle somme già liquidate rigettando l’appello incidentale. Avverso la detta sentenza il Comune di Ottaviano ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi. Resistono con controricorso la Provincia di Napoli e gli originari attori. Questi ultimi hanno altresì proposto ricorso incidentale articolato in un unico motivo.
Motivi della decisione
In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Procedendo all'esame del ricorso principale, va rilevato che con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art.342 co. 1 cpc. il ricorrente Comune ha censurato la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposto dalla Provincia, per genericità dei motivi. Ed invero, i giudici di secondo grado così, in sintesi, il contenuto della doglianza avrebbero trascurato che l’appellante si era limitata ad un generico richiamo alle difese svolte in prime cure senza accompagnarlo né con la specifica individuazione delle statuizioni della sentenza che si intendeva impugnare né con argomentazioni volte a contrastare le ragioni poste dal Tribunale a fondamento della sentenza gravata La doglianza è infondata. Se è vero che l’art. 342 richiede espressamente che i motivi dell’appello siano specifici, occorre chiarire che la ratio di tale norma deve essere individuata nella necessità di consentire più agevolmente la corretta determinazione del quantum appellatum, senza che il giudice e le parti appellate siano costrette ad un’attività di interpretazione delle ragioni di censura, che non solo la legge non affida loro ma che, soprattutto, e la considerazione è decisiva, potrebbe tradire il vero contenuto dei motivi di gravame. Ciò spiega per quale ragione, al fine del soddisfacimento del requisito previsto dall’art. 342 citato, non siano ritenuti sufficienti il generico richiamo alle difese svolte in primo grado, la generica affermazione di erroneità della sentenza impugnata, la prospettazione delle medesime ragioni di fatto e di diritto esposte in prime cure senza una critica adeguata e specifica della decisione impugnata. Ma se questo è vero non può trascurarsi che non vengono richieste neppure né l’indicazione espressa delle norme di diritto che sarebbero state violate, non ponendo l’art. 342 una regola corrispondente a quella contenuta nell’art. 366 n.4 cpc, è una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’ impugnazione, in rigida e scolastica contrapposizione alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata, purché l’appello -e si tratta del rilievo decisivo -consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, identificando esattamente i punti da esaminare, ed alle controparti di poter svolgere senza alcun concreto pregiudizio la propria attività difensiva in relazione alle ragioni di fatto e di diritto per le quali era stato proposto gravame. Quindi, sulla base dell’orientamento costante di questa Corte secondo cui l’atto di appello non esige particolari formalità, si deve affermare conclusivamente che il requisito della specificità può e deve ritenersi sussistente quando l’atto d’impugnazione, al di là della sommarietà dell’esposizione o dell’eleganza della forma, consenta di individuare con certezza le statuizioni impugnate nonché le ragioni del gravame, secondo una verifica che va fatta in concreto, caso per caso. Ed è appena il caso di sottolineare come nel caso di specie sia i giudici di seconde cure sia la parte ora ricorrente, come risulta rispettivamente dalla sentenza impugnata e dalla trascrizione, in ricorso, delle difese svolte dal Comune di Ottaviano in grado di appello, ebbero occasione con tutta evidenza di soffermarsi dettagliatamente sulle ragioni dell’appello proposto dalla Amministrazione provinciale di Napoli.
Passando all'esame delle due successive censure, da esaminarsi congiuntamente perché propongono questioni intimamente connesse tra loro, va rilevato che la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione dell’art. 346 cpc, si fonda sulla premessa che la Corte avrebbe erroneamente condannato il Comune al pagamento di tutte le somme di cui alla statuizione del Tribunale resa nei confronti della Provincia. L’erroneità consisterebbe nel fatto che gli attori non riproposero, in sede di costituzione in appello, né sotto forma di gravame incidentale né sotto altra forma, la domanda nei confronti della convenuta Amministrazione comunale, riconosciuta esente da responsabilità in prime cure. Inoltre, tale rilievo sostanzia la connessa censura per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc la questione dell’individuazione del responsabile non era rimasta in gioco per effetto dell’ appello della Provincia, che aveva chiesto dichiararsi la responsabilità del Comune, poiché tale richiesta costituiva domanda nuova, in quanto in primo grado la Provincia si era costituita tardivamente limitandosi a contestare la pretesa attorea. Le ragioni di doglianza sono infondate. Al riguardo, deve premettersi che, nel caso di domanda proposta in via alternativa nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell’ altro , il pieno accoglimento della domanda di condanna proposta nei confronti di uno dei convenuti alternativi esclude una qualsiasi forma di soccombenza in danno dell’attore e conseguentemente l’onere, a suo carico, di proporre appello incidentale. Ciò premesso, deve sottolinearsi che nel caso di specie, come risulta dalla comparsa di costituzione depositata nella cancelleria della Corte d’ Appello il 5 ottobre 2006, opportunamente trascritta nel ricorso incidentale nella parte de qua nel rispetto del principio di autosufficienza dei ricorsi per cassazione, gli appellati nel costituirsi in secondo grado dichiaravano di voler riproporre espressamente ex art. 346 cpc tutte le domande, richieste, eccezioni e difese già proposte in primo grado, reiterandole e ribadendo nelle successive difese rassegnate all'udienza del 28 maggio 2008 (cfr. capo E della comparsa conclusionale di secondo grado) inequivocarnente “l’assenza di qualsiasi rinunzia all'integrale risarcimento nei confronti dei convenuti” e la condanna dell’Ente Provincia in solido con l’Ente Comune, o alternativamente, chi tra gli stessi tenutovi per legge non avendo mai rinunziato ad alcuna domanda nei confronti di alcuno né in primo né in secondo grado ed avendole riproposte integralmente.
Ciò posto, considerato che l’art. 346 c.p.c. non indica le forme con le quali l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, deve condividersi l’orientamento di questa Corte, secondo cui, tenendo conto del principio di conservazione degli atti processuali, le domande e le eccezioni possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà dell’interessato di sollecitare la decisione su di esse (cfr. Cass. n.12162/07) Ne consegue l’infondatezza delle censure in esame.
Passando alle due successive doglianze, che vanno anche esse trattate congiuntamente per l’intima connessione che le lega, va rilevato che la quarta censura, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 comma 7 del d.lgs 285/92, (Codice della Strada ndr) si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha affermato che la strada in questione doveva essere ritenuta comunale a prescindere dal ‘avvenuto perfezionamento dell’ iter procedimentale disciplinato dal nuovo codice della strada e dal successivo regolamento di attuazione approvato con dpr 495/92, in quanto la strada attraversava il centro abitato ed il Comune aveva (rectius, avrebbe avuto) una popolazione superiore ai diecimila abitanti.
Inoltre tale rilievo riguarda la successiva doglianza svolta per motivazione omessa ed insufficiente la sentenza impugnata sarebbe altresì censurabile in quanto la motivazione resa a supporto del convincimento circa la consistenza demografica del Comune è stata fondata su un atto (determinazione della Provincia di Napoli 0.2112 dell’11.7.97) assai generico e proveniente dalla stessa controparte in causa. Sia l’una che l’altra doglianza sono infondate. A riguardo, con riferimento specifico alla prima delle due censure, corre l’obbligo di sottolineare che, ai sensi del comma 7 dell’ art. 2 del D.l.g svo n. 285/92, “Le strade urbane di cui al comma 2, lettere D, E e F, sono sempre comunali quando siano situate nell’ interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti”.
Ne deriva, sulla base del dettato normativo appena riportato, che, a i fini della individuazione del soggetto proprietario della strada inclusa nel centro abitato di un Comune, sono sufficienti il dato topografico, e cioè il fatto che detta strada, pur essendo parte di una strada statale, regionale o provinciale, attraversi il centro abitato, e la circostanza che il Comune abbia, un numero di abitanti superiore a diecimila, senza che rilevino invece né l’atto di declassamento della strada in questione né l’atto di consegna dallo Stato o dalla Provincia al Comune, essendo adempimenti che non sono affatto contemplati dalla norma in questione ai fini dell’ individuazione dell’ ente proprietario della strada medesima. La lettera della legge sul punto è chiarissima e non consente interpretazioni di segno contrario, con la conseguenza che deve essere ritenuta l’immediata efficacia del disposto di cui all'art 2 co. 7 citato, una volta che sussistano i presupposti di legge sopra richiamati, indipendentemente dall'adozione di successivi atti formali da parte dell’ente territoriale. Conseguentemente, quando il regolamento di esecuzione del codice della strada (D. P. R. n. 495 del 1992) all'art. 4, comma 4, stabilisce che “I tratti di strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati a seguito della delimitazione del centro abitato prevista dall'articolo 4 del codice, sono classificati quali strade comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale con la quale si procede alla delimitazione medesima, deve ritenersi che tale previsione vada necessariamente intesa nel senso che le delibere di classificazione, adottate dal consiglio comunale, non hanno carattere costitutivo, ai fini del trasferimento della proprietà della strada, ma solo une funzione ricognitiva e valenza limitata all'assegnazione della strada ad una determinata classe nella'ambito delle strade comunali. Ne deriva l’infondatezza della censura in esame.
Quanto alla successiva doglianza, relativa alla consistenza della popolazione del Comune, si deve premettere che il ricorrente ha censurato l’attendibilità del documento (determinazione della Provincia di Napoli n. 2112 dell’ 11. 7 .1997), posto dalla Corte a base della sua valutazione, in quanto proveniente dalla sessa Amministrazione provinciale. Ed invero, la Corte di merito, questa, in sintesi la ragione di censura avrebbe dovuto verificare la correttezza del dato in questione attraverso gli strumenti dell’Istituto Centrale di Statistica, deputato a fornire la necessaria attestazione sulla base dell’ultimo censimento effettuato. Anche quest’ultima censura non convince A riguardo, corre l’obbligo di rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, gli atti e i certificati provenienti dalla P.A. o da enti pubblici, essendo assistiti da una presunzione “iuris tantum” di legittimità, possono essere posti a fondamento del convincimento del giudice di merito anche se la pubblica amministrazione e gli enti pubblici, da cui gli atti stessi provengono, siano parte in causa (Cass.n. 3654/04, n.10436/021.
La premessa torna utile nella misura in cui, a fronte della presunzione di legittimità derivante dal documento proveniente dall'Amministrazione Provinciale, il ricorrente Comune si è limitato a dedurre genericamente che la Provincia non avrebbe fornito nessuna prova attendibile sul punto, guardandosi bene però dal contestare in maniera specifica il dato fornito dall'Amministrazione Provinciale, anche solo indicando l’effettivo numero dei suoi cittadini. E ciò, senza considerare che, a ragione della sua estrema “vicinanza” alla prova, avrebbe potuto assai agevolmente fornire gli elementi anagrafici volti a confutare la presunzione di legittimità della certificazione che era stata prodotta.
Si deve pertanto affermare il principio secondo cui, a fronte di certificati provenienti dalla P.A. o da enti pubblici, assistiti in quanto tali da una presunzione “iuris tantum” di legittimità malgrado la pubblica amministrazione e gli enti pubblici, da cui i documenti provengono, siano parte in causa, la controparte, che intenda vincere tale presunzione, non può limitarsi ad una generica contestazione dell’attendibilità della certificazione prodotta ma ha l’onere di allegare i dati in suo possesso e di fornire, specialmente se vicino alla prova della quale ha la disponibilità, gli elementi contrari volti a superare la presunzione indicata.
Passando all'esame della sesta doglianza, va osservato che la censura articolata sotto il profilo dell’omessa o comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento a l’art. 360 co.1 n.5 cpc, si fonda sulla considerazione che per tabulas ed è riconosciuto dalle altre parti in causa”, la strada in cui si è verificato l’incidente è una lunga arteria notevolmente trafficata ed attraversata da un rilevante numero di utenti per cui sarebbe inapplicabile il disposto di cui all'art. 2051 cc, Di tanto, pur a fronte di precise deduzioni del Comune, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto nella sentenza impugnata.
La censura è inammissibile in quanto il vizio di motivazione, anche nella configurazione più radicale della carenza assoluta della motivazione, può costituire oggetto di ricorso per Cassazione esclusivamente in quanto incida sull’accertamento e sulla valutazione di punti di fatto rilevanti per la decisione e non anche quando riguardi l’affermazione o l’applicazione di principi giuridici (cfr. Sez. Un. 21712/04). Giova aggiungere che, secondo il più recente orientamento di questa Corte, la responsabilità oggettiva prevista dall’ art. 2051 c.c. è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni.
Tale responsabilità resta esclusa solo dalla prova, gravante sulla p.a., che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, così integrando il caso fortuito previsto dalla predetta norma quale scriminante della responsabilità del custode (ex multis Cass. n. 20427/08).
Passando infine all'esame dell’ultimo motivo di impugnazione, anch'esso articolato per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, va rilevato che, ad avviso del ricorrente, la sentenza sarebbe censurabile in ordine alla quantificazione del danno. In particolare, quanto al danno biologico iure proprio, la C.T.U. svolta sarebbe insufficiente a fornire un quadro dei pregiudizi lamentati da parte attrice; inoltre, non convincerebbero le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure relativamente alla liquidazione del danno patrimoniale; parimenti nulla sarebbe stato dimostrato in ordine alle attività lavorative svolte dal C. né per le spese sostenute in conseguenza del sinistro. Ciò malgrado, ad onta dei rilievi avanzati, nulla avrebbe osservato in merito la Corte territoriale.
Anche tale doglianza è inammissibile, sia pure per ragioni diverse. A riguardo, mette conto di sottolineare che la censura, come risulta di ovvia evidenza dal suo stesso contenuto e dalle espressioni usate, concerne la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito e non evidenzia effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale de a sentenza impugnata. Ed invero, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mira ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, che non è consentita in sede di legittimità. Ciò posto, premesso che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
Resta da esaminare il ricorso incidentale proposto dagli originari attori, fondato su un’unica doglianza per violazione e falsa applicazione dell’ art. 346 cpc, con cui i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe sbagliato quando ha affermato che la questione dell’individuazione del responsabile del sinistro era rimasta in gioco per effetto dell’appello della Provincia, che aveva chiesto dichiararsi la responsabilità del Comune.
Tale motivazione dovrebbe essere corretta ex art. 384 ultimo comma cpc perché gli eredi C. nel costituirsi nel giudizio in appello avevano riproposto espressamente ex art. 346 cpc tutte le domande, richieste e difese già proposte in primo grado, tra cui la richiesta di responsabilità del Comune. Il ricorso è inammissibile, per difetto di interesse, alla luce del rilievo che è stato proposto da una parte totalmente vittoriosa in appello ed è diretto soltanto alla modifica della motivazione della sentenza impugnata. Ed invero, tale correzione può essere ottenuta mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio autonomo del potere correttivo attribuito alla Corte di Cassazione dall’art. 384 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n.7057/2010, Cass. n. 6519/07, Cass. n. 3654/06, Cass. n. 6631/06, Cass. n.15897/01). L’alternarsi delle decisioni di merito, nel rapporto processuale tra il Comune di Ottaviano e la Provincia di Napoli, e la reciproca soccombenza, nel rapporto processuale tra i ricorrenti, giustificano ampiamente la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, rigetta quello principale. Compensa tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.
Depositata in Cancelleria il 02.03.2012